Percorsi di terra

I percorsi qui descritti sono alcuni tra i tanti possibili: una consultazione di una cartina consentirà a ciascuno di inventare la propria personale esplorazione. Gli itinerari proposti sono da percorrersi in bici, tenendo presente, però, che non si tratta di piste ciclabili, ma di strade comunali e vicinali, con alcuni tratti sterrati.

Dai coppi alle lose e dalle lose ai coppi

Lasciamo il concentrico di Villafranca in direzione Cavour, per quella larga via che un tempo, fino al 1870, era divisa dalla "Doira"; arrivati alle scuole elementari (1935) svoltiamo a destra verso il cimitero. Qui inizia la vecchia strada che va a Pinerolo. Campi e borgate, cascine isolate e caseforti, ville di campagna e piccole chiese ci attendono. 
All'altezza della prima curva a gomito, che svolta a destra, abbandoniamo la strada asfaltata ed imbocchiamo la carrareccia verso Barbetta e la cascina Allasia; di qui, tra le marcite della Bealera Grossa del Mulino, un sentiero ci porta alla cappella di Missione
Questo antico edificio sacro, già citato in un documento del 1037, ospita un prezioso ciclo di affreschi realizzato in due diversi momenti della prima e seconda metà del '400. Recentemente restaurata l'opera merita certamente una sosta e una visita. 
Se la magia del luogo non ci rapisce, riprendiamo il cammino, torniamo verso Barbetta; di qui, svoltando a sinistra, si va a San Giovanni, un insediamento antico, che sfrutta una piccola gibbosità del terreno per osservarsi meglio intorno. 
I segni della storia non si limitano, però, alla chiesa di San Giovanni: sull'antistante piazzetta le case del borgo attestano la loro storia, in particolare I'edificio della scuola materna, che, essendo una vecchia donazione dei signori di Marcerù, ci rimanda col pensiero al castello che incontreremo subito dopo aver lasciato la borgata. 
II castello di Marcerù è la testimonianza dell'altro potere medievale, quello temporale, dei nobili e dei cavalieri. Lo stesso toponimo, dal latino marcidus, attraverso il medievale marzerutum (marzi arutum ), ci rimanda ai tempi lunghi della storia, alle lente conquiste dell'uomo, all'acqua - la costante di questi nostri viaggi di terra - ai prati acquitrinosi che segnavano il paesaggio. 
Proseguendo a destra, dopo il castello, seguiamo la strada asfaltata; ai coppi lentamente si sostituiscono le lose in pietra. II Pellice scorre a poche centinaia di metri da noi e la confluenza con il Chisone non è lontana. Se vogliamo dargli un'occhiata, ai Ballerini abbandoniamo la strada asfaltata e, superate Baracche, arriviamo al greto del fiume; là c'è una strada costruita dalla cava. Si svolta a sinistra e si risaie il torrente fino al guado per Zucchea; qui si ritrova una strada asfaltata, che ci porterà verso Cavour, attraversando la Borgata Cappella del Bosco e, poco più avanti, la villa Belvedere. 
Entrando in Cavour, svoltiamo a sinistra all'angolo del Consorzio Agrario Provinciale, costeggiamo il campo di calcio e, mantenendo questa direzione, percorriamo circa duecento metri della sta tale, per lasciarla subito entrando nel vicolo di fronte a noi; quando la statale svolta a sinistra verso Saluzzo. Ci troveremo tra le case del paese e la strada, attraversando una piazza, percorrerà un'ampia curva verso sìnistra e si metterà a costeggiare i piedi della Rocca. 
Ben presto, lasciate le ultime case del paese, vedremo, verso sud, I'Abbadia di Santa Maria. 
Da qui, attraversata ancora una volta la statale, s'imbocca la strada che, costeggiando il rio Marrone, va a Sant'Agostino; ritorniamo verso le marcite, verso le cascine Paschere e Pascheretta, la cascina Mondina e la cascina Nuova delle Paschere, Ancora una volta cambiano i materiali da costruzione, si abbandonano le lose e le pietre e si affacciano il cotto, i coppi e i mattoni: microstorie architettoniche ed economiche. 
Dopo poco pìù di un chilometro di sterrato, quasi a segnare una terra di nessuno, si ritrova la strada asfaltata; siamo al Mulino del Devesio. 
Paco più avanti il Sepolcreto dei De Sonnaz ci apparirà, solitaria e un po' magica testimonianza degli ultimi signori di queste terre nebbiose. Ma procediamo, nello spazio e nel tempo, e, tra i campi e le cascine, netti si affacciano i segni dell'agricoltura industriale, la nuova signora dì queste fertili terre: ville geometrili, apparecchiature industriali, capannoni, stalle computerizzate, silos ecc., sono i nuovi tratti che si aggiungono alla mappa del territorio. 
A Cantogno, l'antica Fontanile, potremo ritemprare il corpo e lo spirito. II Santuario della "Nostra Signora del Buon Rimedio" accoglierà i nostri affanni e l'antistante Castello con la vicina trattoria daranno protezione e ristoro al nostro corpo. 
Ripartiamo alla volta di Villafranca, attraversiamo la borgata e gli ultimi campi di questo nostro viaggio, per entrare in paese dalla "porta Saluciorum".

Lunghezza itinerario: circa 31 km.

Il Po: un tratto della via del sale

Dalla "Porta Padis" ci incamminiamo verso Moretta, ci arrampichiamo fin sul ponte (1884), ed ecco il Po, il fiume più grande d'Italia, l'artefice della Padania, via d'acqua, risorsa ittica del passato, ora diletto di affamati pescatori, fonte irrigua per l'idrovoro mais, catastrofe incombente per gli azzardi dell'uomo. 
Ma il Po è stato anche una via del sale ed il percorso che noi faremo è un tratto di un più ampio tracciato; che cerca di ripercorrere idealmente l'antica via che da Marsiglia, passando per il Buco di Viso; discendeva la valle Po. 
Imbocchiamo la prima sterrata a destra dopo il ponte, giungeremo all'imbarcadero degli "Amici dei Po", attrezzato anche come area per merende in riva al fiume. Sulle acque, insieme ad una innumerevole schiera di barche a punta, vedremo anche la ricostruzione di un traghetto. Se chiudiamo gli occhi potremo immaginare gli infreddoliti viandanti di altri tempi pagare il pedaggio per proseguire il cammino. 
La strada costeggia un notevole impianto di riforestazione realizzato su terreni dell'Ordine Mauriziano. Essenze autoctone, che un giorno ci ridaranno un luogo del nostro passato. 
Tra prati e filari di pioppi risaliamo il fiume fino alla silenziosa Brasse e, con la provinciale, giungiamo a Cardé, un altro paese rivierasco, che di Po si è nutrito e cresciuto. 
Da Cardè la via del sale prosegue alla volta di Staffarda e Saluzzo. A chi vuole proseguire su questa affascinante via consigliamo di attrezzarsi di rampichino è di un poco di spirito dì avventura: Alla prima traversa a sinistra che si incontra, dopo aver svoltato a destra sulla strada principale, ci si incammina verso il guado delle Cascinasse, che porterà a Staffarda, oppure, proseguendo sulla stessa sponda; si arriverà a Saluzzo, seguendo le indicazioni che si troveranno per via. 
Riprendendo il nostro percorso, attraversiamo Cardè e, all'uscita, incontriamo il castello, la chiesa e lo splendido viale alberato; che ci conduce al ponte. Lungo la discesa alberata il nostro sguardo può spaziare lontano. Tre grandi cascine, la Piè Vignolo, sulla sinistra; la Cascina Nuova e i Mileni, in lontananza, sulla destra, disegnano, con il Castello e il campanile del Santuario di Cantogno, le architetture emergenti del territorio. Ma non voltatevi indietro, ché l'ombra minacciosa dell'industria agricola si proietta sulle fragili architetture del passato: e così il paesaggio muta, e con esso i nostri pensieri. 
Siamo sulla via del ritorno; vi consigliamo di abbandonare la provinciale e di svoltare verso Cantogno; riprendendo così la strada per Villafranca.

Lunghezza itinerario: circa 12,7 km.

Tra due fiumi

Il territorio dei borghi frazionari di Madonna Orti, Mottura e Bussi è un cuneo, i cui lati sono le mobili sponde del Po e dei Pellice; una terra di confine nei tempo e nello spazio, la fine di uno spartiacque, dove due bacini orografici si incontrano. 
Uscendo dal paese, verso Torino, percorriamo una breve salita, che culmina con la scalinata che porta al sagrato del convento dei Cappuccini; da qui, svoltando a destra, imbocchiamo la vecchia stra da provinciale, che collegava Villafranca a I"aule e Polonghera e ai mercati di Carmagnola e Moncalieri. 
II muro del convento e il piano dalla strada s'incontrano poco prima del viale che porta alla stazione; una via ormai sedentaria, residenziale, che un tempo accoglieva i viaggiatori giunti in treno in sieme con gli infiniti viaggi di operai e studenti, pendolari tra la città e il paese. 
La ferrovia, ormai chiusa, la incontriamo al passaggio a livello, sempre aperto, e di qui, abbandonate le ultime case del paese, la provinciale serpeggia pigramente, tra le onde di terra disegnate dalle acque del Po, verso il Porto di Faule. 
Carri, cavalli, calessi, buoi, gente a piedi, un piccolo quanto alacre traffico contadino di prodotti e mercanzie ha animato, fino al secondo dopoguerra, questa terra ricca e fertile, questo triangolo dove, ancora in buona parte intatte, sono presenti le testimonianze architettoniche di un mondo passato: cascine, cappelle, ville, piloni votivi, tettoie, chiabotti ecc. 
Poco fuori del paese incontriamo la Cappella di Fortuna, che tanti viandanti ha riparato da temporali, grandinate e notti umide; qui, se si è fortunati, al mattino, si può vedere una civetta che riposa sul tetto. 
Dopo un chilometro la strada si accosta al Po; dall'alto vediamo il primo meandro del fiume e di là, sul territorio di Moretta, le suggestive cascine Ceresole. 
I Cerutti sono la prima borgata che incontriamo; sulla sinistra, in lontananza, scorgiamo la cascina Musinasco, con a fianco una bianca dimora di campagna. Proseguendo sulla provinciale attraver siamo Madonna Orti, passando accanto alla cascina Pignatelli, per giungere poco dopo ai porto di F=aule, dove un tempo il "Portuné" trasbordava da una sponda all'altra i viaggiatori. Oggi si vedono ancora i pilastri di un ponte progettato negli anni'S0 e mai realizzato. La meccanizzazione dell'agricoltura avanzava, e il trasporto con i camion sostituiva i carri a trazione animale; un'epoca finiva. ®i !à dal fiume la trattoria del Porto di Faule é ormai irraggiungibile. 
Poco a valle c'è la confluenza con il Pellice; per raggiungerla torniamo a Pradone e imbocchiamo la stradina verso il Pilone Goretto, svoltiamo ancora a destra e ci avventuriamo nell'esplorazione di un territorio che più di altri è in continua modificazione, una frontiera dove l'acqua e l'uomo giocano un'infinita partita per definire il confine dei rispettivi domini. 
Ancora una volta torniamo sui nostri passi, costeggiamo la cascina Musinasco, il cui toponimo ci rimanda all'antico borgo che, insieme a Fontanile e Borgo Soave, ha dato origine a Villa Franca; arriviamo così tra le case della frazione Mottura. Qui possiamo rifocillarci alla trattoria, un agriturismo ante litteram, dove vengono serviti antipasti fatti in casa, salumi, primi e pietanze secondo la tradizione della campagna piemontese. 
Riprendiamo la strada verso il Pellice, !a costeggiamo, attraversiamo la frazione Bussi e ritroviamo la strada ferrata e la provinciale. 
Per chi ha ancora voglia di curiosare, è consigliabile una puntata ai boschi di Tetti Girone, un ultimo residuo di foresta planîziale, di quei boschi che un tempo ricoprivano quasi tutte le terre fin qui attra versate. Si percorre la statale in direzione di Vigone, si supera il ponte e, subito dopo il passaggio a livello, si imbocca la sterrata che riporta verso il Pellice. Si costeggia il torrente per qualche centinaio di metri e non tarderemo a riconoscere gli alberi secolari; abbandoniamo le biciclette ed esploriamo il bosco, che, per quanto piccalo, emana la potente suggestione di un mondo incontaminato. 
Chi é stanco e non vuole avventurarsi su una strada trafficata, arrivato ai Bussi imbocchi la campestre delle Case Nuove dei Bussi, attraversi la ferrovia e la statale e si incammini verso la frazione San Nicola. 
Siamo sulla strada del ritorno, superata o borgata ancora un paio di chilometri ci separano da Villafranca.

Lunghezza itinerario: circa 22,8 km.

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